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Abbiamo perso molto, in morte di Armando Cossutta

  • Scritto da  Alessandro Turcato, Mattia Bertin
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Abbiamo perso molto, in morte di Armando Cossutta

Una sera di settembre, sull'altipiano di Asiago, in località Kaberlaba, un uomo di circa settant'anni si diresse al bar di un albergo. Aveva occhiali con una montatura d'altri tempi, un golf di lana pesante e una netta cadenza nel parlare che ne rivelava l'origine milanese. Era un vecchio dirigente di partito, anzi del Partito; non aveva fatto quasi altro per tutta la vita, per sua stessa ammissione. Aveva militato in tre partiti, di cui due fondati da lui.

Nell'albergo, grande e moderno, si teneva la scuola estiva del suo ultimo partito. Nel pomeriggio aveva parlato del passato e del presente del socialismo; durante la sera, invece, aveva seguito il concerto-lezione di un cantautore di Treviso. Alberto - questo il nome del cantautore - aveva ripercorso la storia delle canzoni della Resistenza, che l'uomo aveva combattuto quando aveva l'età dei giovani a cui era rivolta la scuola estiva. Poi era passato ai brani dei cantautori, con un particolare riguardo a De André; la voce di Alberto ricordava molto la voce di De André, e questo era sia un punto di forza sia un limite. Infine aveva cantato brani ispirati alle lotte giovanili più o meno recenti. Alla fine del concerto era salito al bar per scaldarsi un po' prima di andare a dormire.

All'uomo si avvicinò un ragazzo, ordinarono insieme alla barista qualcosa di caldo: un tè, un punch. Il ragazzo gli chiese se gli fosse piaciuto il concerto, tenuto da uno che, oltre ad essere un bravo cantante, era anche un valido compagno. Nel frattempo una donna anziana, la moglie dell'uomo, si era avvicinata ai due con discrezione. L'uomo guardò il ragazzo: «Devi sapere che nella mia vita non ho quasi mai ascoltato musica. Non conoscevo i brani che ha suonato Alberto ma mi sono piaciuti, soprattutto quelli di De André». Il ragazzo pensò che quelli di De André erano talmente famosi che non potevano essere ignoti a uno che aveva vissuto gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta in Italia; e che per di più era stato un parlamentare, un parlamentare di sinistra. Malgrado la vecchiaia - anzi, forse in virtù della vecchiaia - l'uomo lo anticipò, non senza un velo di malizia: «So a cosa stai pensando: com'è possibile che uno arrivi a quest'età senza conoscere queste cose? Dispiace molto anche a me; ho perso - guardò la moglie - abbiamo perso tanto per fare politica. Per me è stato così, ma per voi sarà diverso». Porse alla moglie il braccio, salutò il ragazzo e si avviò verso le scale.

Quell'uomo era Armando Cossutta. In queste ore, poche dopo la sua scomparsa, molti, giovani e meno giovani, lo stanno ricordando sui social network con insulti e sfregi, incapaci di cogliere la sua lezione più grande. Cossutta ha sempre accettato di essere minoranza interna, scomoda, capace di interrogare i maggiorenti della sinistra senza mai imporre. La grandezza di Cossutta, oltre al rifiuto dei nuovismi in quanto tali, fu una visione realmente unitaria, di chi, anche sbagliando, sapeva però quanto grave sarebbe stato dividere la dimensione di governo e quella di lotta, senza scegliere mai l'una o l'altra come figlia prediletta. Chi oggi parla di contenitori e non riflette sulla società e i bisogni degli ultimi (o dei penultimi), chi ha strappato e strappa continuamente ogni processo unitario, dovrebbe ascoltare la voce di questo comunista che oggi non c'è più, e capire quanto fondamentale sia lo sforzo continuo del tenere assieme, del criticare accogliendo e unendo, per costruire davvero un mondo nuovo.

Se siete liberi di fare l'elenco degli errori, o presunti tali, di quest’uomo, è perché proprio egli, come tanti suoi coetanei, fece la scelta di non restare indifferente, di partecipare alla lotta partigiana, assicurandoci la libertà di dire quanto pensiamo come pensiamo. È proprio per quel sogno realmente democratico, basato sulla consapevolezza di rappresentare una parte significativa in un tutto, che si compone solo col dialogo costante, con la critica quotidiana, che voi oggi potete far ciò che volete di una memoria.

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